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Ghiozzo nero e ghiozzo di ruscello
Pesci poveri delle nostre acque – Il primo lo si trova un po’ dappertutto dell’Adriatico settentrionale; il secondo, un tempo presente in laghi e fiumi dal Piemonte all’Umbria, oggi è in estinzione e va protetto
Rubrica: Pesca
Articolo di Manicardi N.
(Articolo di pagina 63)
Nei suoi tanti nomi dialettali si scatenano le più svariate fantasie: così può chiamarsi, guato, paganel de mar, goatto, ghiggiou, cugione, maccarone, mugnu, mozzone, mazzone, cuggione, buatta, peagia mora, saracinu, maccione de mar, e chi più ne ha più ne metta! Ma il suo nome scientifico è uno solo ed è quello che gli diede il grande naturalista svedese Linneo nel Settecento: Gobius niger jozo. Noi lo conosciamo come “ghiozzo nero”. Il ghiozzo nero appartiene alla famiglia dei Gobidi, pesci sia d’acqua salata che d’acqua dolce. Ha modeste dimensioni, poiché il maschio non supera i 16 cm e la femmina i 14 cm. La misura media è di 8 cm. Comune in tutto il Mediterraneo, vive su fondi fangosi, sabbiosi e detritici; si trova di solito in prossimità dei porti e delle scogliere artificiali, ma può spingersi fino a profondità di 80 metri. In primavera, compie una migrazione riproduttiva che dal largo lo porta verso la costa. Si pesca con reti a strascico, a bilancia e da posta, con draghe, nasse e lenze. Non è egualmente apprezzato da tutti i mercati, perché di misura troppo piccola e anche in ragione del fatto che si nutre in acque non sempre pulite; soprattutto, è oggetto di pesca amatoriale con la canna. Infatti, essendo molto vorace, abbocca facilmente anche alle esche più comuni e quindi gratifica facilmente pure il pescatore meno abile. Per il pescatore sportivo è più un fastidio che altro dato che abbocca anche ad esche grandi poco meno di se stesso. È più facile che, a sua volta, lo si utilizzi come esca per lucci, trote e persici. Quando viene commercializzato, si dà la preferenza alla taglia compresa fra i 9 e i 14 cm. Lo si consuma fresco, fritto, lesso; ha carni bianche, grasse e dal sapore delicato, dalle quali si può ottenere un ottimo brodo.
Di solito non ha una particolare importanza per la pesca dato che finisce nella minutaglia adatta per la frittura di paranza o per le zuppe di pesce; fa eccezione la Laguna veneta dove il gò costituisce un pregiato piatto tipico e per questo viene appositamente pescato. In tal caso, lo si consuma in un risotto morbido preparato con mezza cipolla e un po’ d’aglio rosolati in vino bianco e con l’aggiunta di vongole e schie, gamberetti grigi anch’essi tipici della Laguna veneta e del Delta del Po (si veda ricetta nel box).
Come si può identificare il ghiozzo nero? Lo si riconosce dalle scaglie che ha sul capo, di dimensioni diverse, che non compaiono sulle guance; le labbra sono grosse e gli occhi sporgenti. Il colore varia dal bruno chiaro al nero; il ventre è spesso bianco. Durante il periodo riproduttivo il colore è più scuro nel maschio, mentre la femmina rimane marroncina. Prima della riproduzione, il maschio sceglie il territorio e viene successivamente raggiunto dalle femmine: dopo la riproduzione, che ha luogo successivamente alla fase del corteggiamento, le uova restano attaccate al fondo a corpi sommersi, rocce o scogli fino alla schiusa. Tutti i Gobidi costruiscono un nido in cui vengono deposte le uova dalla femmina e che poi viene guardato dal maschio. Di solito le uova vengono deposte sul soffitto del rifugio. Molto spesso la riproduzione avviene più di una volta all’anno.
Il ghiozzo nero si ciba di molti organismi bentonici di piccola taglia (crostacei, piccoli pesci, gasteropodi, ecc…). Si distingue da altre specie simili per la presenza di quattro raggi più allungati nella prima pinna dorsale. Tra i ghiozzi però non troviamo solo il ghiozzo nero. La famiglia a cui quest’ultimo appartiene (quella, già citata, dei Gobidi) è infatti la più numerosa famiglia di pesci ossei, con oltre 2.000 specie diverse in 200 generi diversi, diffusi nei mari di tutto il mondo e nelle acque dolci delle zone tropicali e temperate calde. Sono molto più frequenti nelle regioni tropicali, ma non mancano numerose specie anche in acque fredde come quelle del Mare del Nord e del Mar Baltico. Sono invece del tutto assenti dai mari polari. In Italia, lo si trova nei laghi e fiumi della parte settentrionale, dal Piemonte al Veneto; nel Garda è stato notato fino a 50 metri di profondità. La varietà dell’Arno è presente in Toscana (nei fiumi Arno, Serchio e Sieve), Umbria e Lazio, mentre quella detta Canestrini la troviamo nell’Adriatico settentrionale, nelle valli Venete e di Comacchio, quindi in Slovenia, in Croazia, in Montenegro ed in Albania. La maggioranza delle specie è adattata agli ambienti di fondo molle, ma sono molto comuni anche tra gli scogli, nel coralligeno, nelle barriere coralline e tra le posidonie. Le specie d’acqua dolce si ritrovano sia in acque salmastre che nei laghi, nei fiumi e nei torrenti di media montagna. Alcune specie, cieche e depigmentate, sono adattate alla vita nelle caverne. Altre specie ancora, sia marine che d’acqua dolce, vengono comunemente allevate in acquario.
Particolare interesse e attenzione desta il ghiozzo di ruscello, che vive nei corsi d’acqua di piccola e media portata, caratterizzati da acqua limpida e ben ossigenata e da fondali ciottolosi o ghiaiosi. I giovani, e fuori dal periodo riproduttivo anche le femmine, occupano prevalentemente le rive e i terreni circostanti, dove l’acqua- è poco profonda e la corrente moderata. Gli adulti preferiscono invece le aree dove la corrente è più vivace e dove sono presenti ciottoli o sassi di alcuni decimetri quadrati di superficie; questi ultimi, come abbiamo visto, rappresentano elementi indispensabili per le abitudini comportamentali e riproduttive della specie. In Italia questo piccolo pesce è presente nei sistemi idrografici tirrenici della Toscana, dell’Umbria e del Lazio; il limite settentrionale è rappresentato dal fiume Serchio, quello meridionale dal fiume Amaseno. Solo nella parte alta del bacino del Tevere è però ancora presente con una certa continuità nella distribuzione; altrove, quasi ovunque, è quasi scomparso in seguito alle alterazioni dell’habitat. Il ghiozzo di ruscello è, infatti, una specie a rischio di estinzione, così come segnalato da tempo dal WWF nel suo studio “2008. Acque in Italia. L’emergenza continua: a rischio molte specie di pesce”. È molto sensibile, in particolare, alle artificializzazioni degli alvei; viene inoltre danneggiato dagli eccessivi prelievi idrici, dall’inquinamento delle acque e dalla predazione di altri pesci, come le trote o lo stesso ghiozzo comune, introdotte dall’uomo soprattutto per la pesca sportiva.
Per questo rischio di estinzione il ghiozzo di fiume, il cui nome scientifico è Gobius nigricans, è riportato sia nella Direttiva 92/43/CEE tra le “specie animali e vegetali di interesse comunitario la cui conservazione richiede la designazione di zone speciali di conservazione” che fra le specie protette nella Convenzione di Berna.
Nunzia Manicardi